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25 Settembre 2023
11:00

Art. 974 c.c.: Diritti dei creditori dell’enfiteuta

L'art. 974 c.c., rubricato "Diritti dei creditori dell'enfiteuta", rientra nel Libro III, Titolo IV del Codice. Vediamo la norma, la sua spiegazione e gli orientamenti della giurisprudenza.

Art. 974 c.c.: Diritti dei creditori dell’enfiteuta
Dottoressa in Giurisprudenza
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L’articolo 974 del Codice Civile rientra nel Libro III – Della proprietà, Titolo IV – Dell'enfiteusi, ed è rubricato come "Diritti dei creditori dell'enfiteuta".

Il testo aggiornato dell'art. 974 c.c. dispone:

“I creditori dell'enfiteuta possono intervenire nel giudizio di devoluzione per conservare le loro ragioni, valendosi all'uopo anche del diritto di affrancazione che spetti all'enfiteuta; possono offrire il risarcimento dei danni e dare cauzione per l'avvenire.

I creditori, che hanno iscritto ipoteca contro l'enfiteuta anteriormente alla trascrizione della domanda di devoluzione e ai quali questa non è stata notificata in tempo utile per poter intervenire, conservano il diritto di affrancazione anche dopo avvenuta la devoluzione“.

Il perimento del fondo, richiamato dalla disposizione, viene a verificarsi al momento di cessazione della cosa su cui viene esercitato il diritto enfiteutico.

Sebbene non sia necessaria la scomparsa totale del fondo, intesa come la sua distruzione completa, si considera la scomparsa come il caso in cui il fondo non abbia più la capacità e le forze produttive originarie e che non consenta all'enfiteuta di conseguire utilità.

Vediamo alcuni tra gli orientamenti della giurisprudenza:

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 8 febbraio 1982, n. 730
"I creditori dell'enfiteuta, a norma dell'art. 974 cod. civ., possono intervenire nel giudizio di devoluzione del fondo enfiteutico non soltanto al fine di sostenere le ragioni dell'enfiteuta opponendosi alla domanda di devoluzione, ma altresì per far valere un diritto relativo all'oggetto dedotto in giudizio nei confronti delle parti originarie del rapporto processuale e, quindi, anche per denunciare una eventuale collusione fra proprietario ed enfiteuta dalla quale possa derivare una sentenza ingiusta a loro danno, e possono, conseguentemente, impugnare in via autonoma la sentenza resa nel giudizio".

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 28 luglio 1950, n. 2122
"Anche sotto l'impero del cod. civ. del 1865, il principio della operatività di diritto della clausola risolutiva espressa andava inteso non nel senso che l'inadempimento importasse di necessità ed automaticamente lo scioglimento del contratto, ma nell'altro senso che la parte, verso la quale non era stata eseguita l'obbligazione, se intendeva sciogliersi dal contratto non aveva bisogno di rivolgersi al giudice, essendo sufficiente una sua manifestazione di volontà di volersi avvalere della clausola. Anche se sia stata stipulata la clausola risolutiva espressa, sino a quando il diritto alla risoluzione non sia stato esercitato dal creditore, a cui tutela è stato concesso, il contratto è in vita e il debitore può utilmente adempiervi, ancorché tardivamente. Pertanto, anche quando il creditore non abbia saputo o non sia stato posto in condizione di sapere che il debitore è in commissum,la risoluzione del contratto deve intendersi verificata non con l'avverarsi del fatto costituito dell'inadempimento, ma con la dichiarazione del creditore, debitamente comunicata alla controparte di volersi avvalere della clausola apposta al contratto. A norma dell'art. 973 cod. civ. e 149 delle relative Disposizioni transitorie, la clausola risolutiva espressa per una data inadempienza, apposta ad un contratto di enfiteusi anteriore al nuovo codice, se siasi verificata dopo il 28 ottobre 1941 non preclude la facoltà dell'enfiteuta di chiedere l'affrancazione del fondo, anche dopo che il domino diretto abbia dichiarato di volersi avvalere della clausola ed abbia iniziato il giudizio di devoluzione (nel quale giudizio l'affrancazione può essere richiesta in via riconvenzionale); ciò sempre che l'inadempienza contrattuale prevista quale causa di risoluzione non consista nell'avere deteriorato il fondo o non averlo migliorato, e il giudice non riscontri che tale inadempienza abbia carattere di notevole gravità. L'art. 311 cod.proc.civ. che, per i giudizi davanti al pretore rinvia alle norma relative al procedimento dinanzi al tribunale, non pone limiti alla difesa delle parti, dacché il rinvio alle norme relative al procedimento dinanzi al tribunale, non si estende alle preclusioni previste dagli artt.183 e 184 cod. proc. civ. essendo esse incompatibili con l'oralità e il minore rigore formale del procedimento pretorile. Normalmente il creditore dell'enfiteuta non è parte nel giudizio di devoluzione proposto dal concedente verso l'enfiteuta stesso, ed a tutela del proprio diritto può valersi del diritto di intervento previsto dall'art. 974 cod. civ. ; ma se il creditore per una qualsiasi ragione (nella specie, quale alienante dell'utile dominio enfiteutico) trovasi ad essere parte del rapporto processuale (giudizio di devoluzione pendente tra concedente ed enfiteuta), non per questo è privato del diritto sostanziale alla conservazione del suo diritto di credito (nella specie, per il prezzo derivante dall'alienazione); all'opposto, egli può proporre tutte le domande ed azioni che si riconnettono ad un diritto di credito, non esclusa l'Azione diretta all'affrancazione, prevista dall'art. 974; e ciò anche se sia improcedibile l'analoga riconvenzionale proposta direttamente dall'attuale enfiteuta, per mancato preventivo deposito del prezzo di affrancazione. Tale facoltà il creditore presente in giudizio può, trattandosi di giudizio di pretura ove non operano le preclusioni previste dagli artt.183 e 184 cod. proc. civ., esercitare fino a quando non si sia chiusa la discussione nel processo di primo grado".

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Dopo la laurea presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Sicurezza economica, Geopolitica e Intelligence presso SIOI - UN ITALY e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea presso il mio ateneo di origine. Ho concluso la pratica forese in ambito penale, occupandomi di reati finanziari e doganali. Nel corso degli anni ho preso parte attivamente a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Ho scritto di cybersicurezza, minacce informatiche e sicurezza internazionale per "Agenda Digitale" e "Cyber Security 360". Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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