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7 Settembre 2023
13:00

Art. 973 c.c.: Clausola risolutiva espressa

L’art. 973 c.c., rubricato “Clausola risolutiva espressa”, rientra nel Titolo IV, Libro III del Codice Civile. Vediamo il testo della norma, la sua spiegazione e la giurisprudenza di riferimento.

Art. 973 c.c.: Clausola risolutiva espressa
Dottoressa in Giurisprudenza
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L’articolo 973 del Codice Civile, di cui al Libro III – Della proprietà, Titolo IV – Dell'enfiteusi, è rubricato "Clausola risolutiva Espressa".

Vediamo il testo aggiornato dell'art. 973 c.c. e la sua spiegazione:

“La dichiarazione del concedente di valersi della clausola risolutiva espressa non impedisce l’esercizio del diritto di affrancazione”.

La norma pone l’accento sull’incremento della produttività del fondo, evitando una loro eventuale soggezione da parte del titolare del diritto di enfiteusi che potrebbe trascurarlo.

Il ricorso alla clausola risolutiva espressa non pone un freno al diritto di affrancazione, ovvero il diritto potestativo riconosciuto all'enfiteuta attraverso cui, pagando una somma di denaro, acquisti la proprietà del fondo.

E' per questo che l'enfiteuta non può esimersi dal prestare il proprio consenso.

Vediamo alcuni tra gli orientamenti della giurisprudenza a proposito della disciplina:

Corte di Cassazione, sezione 3, sentenza 2 marzo 1985, n. 1796
"In tema d'enfiteusi, gli inderogabili principi fissati dagli artt. 972 e 973 cod. civ., circa la prevalenza del diritto potestativo di affrancazione spettante all'enfiteuta, ed il conseguente condizionamento ad esso del diritto del concedente di ottenere la devoluzione o risoluzione, ancorché in relazione all'operatività di clausola risolutiva espressa, comportano che l'accoglimento della domanda dell'enfiteuta con pronuncia (costitutiva) di affrancazione, se trova ostacolo nel giudicato sulla devoluzione o risoluzione del rapporto, formatosi prima della data della proposizione della domanda stessa, non resta escluso dalla mera pendenza a detta data del procedimento promosso per la devoluzione o risoluzione, né dalla circostanza che tale procedimento, anziché venir sospeso a norma dell'art.. 295 cod. proc. civ., prosegua e si concluda con sentenza definitiva di devoluzione o risoluzione, rimanendo questa sentenza subordinata all'esito del giudizio di affrancazione, e quindi travolta e vanificata dalla successiva pronuncia che disponga l'affrancazione".

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 29 aprile 1982, n. 2705
"Il comma 2 dell'art. 10 della l. 18 dicembre 1970 n. 1138, stabilendo che le domande di riscatto e di devoluzione esercitate dal concedente non precludono in nessun caso all'enfiteuta il diritto d'affrancazione, riconosce l'assoluta prevalenza delle domande d'affrancazione su quelle di riscatto e di devoluzione, pur se tali ultime domande salvo solo il limite costituito dalla formazione del giudicato riguardo ad esse – siano state proposte in relazione a fatti comportanti, secondo la disciplina previgente, la preclusione del diritto d'affrancazione. Detta norma – se non ha carattere retroattivo per quanto attiene al rapporto tra affrancazione e devoluzione, attesa la natura costitutiva ex nunc della pronuncia sulla domanda di devoluzione – ha invece carattere retroattivo per quanto attiene al rapporto tra affrancazione e riscatto (oltre che per quanto concerne il rapporto tra affrancazione e clausola risolutiva espressa ex art. 973 c.c.), comportando l'eliminazione di un effetto (consolidamento del diritto di proprietà ed estinzione dell'enfiteusi) altrimenti definitivamente conseguito alla stregua della precedente disciplina, stante l'efficacia costitutiva della dichiarazione di riscatto e la natura meramente dichiarativa della pronuncia giudiziale in ordine ad essa".

Tribunale di Palermo, 14 aprile 1980
"Le modificazioni legislative degli art. 966, 972 e 973 c.c. (art. 8 e 9 l. 22 luglio 1966 n. 607 e 10 l. 18 dicembre 1970 n. 1138) pur statuendo la prevalenza della domanda di affrancazione su quella di devoluzione nell'enfiteusi, non hanno toccato la disposizione di cui all'art. 272 n. 2, c.c. che consente la devoluzione del fondo in caso di morosità per due anni di canone, non purgata prima della sentenza di I grado. Tale disposizione di favore per l'enfiteuta si pone in deroga ai principi generali in materia di risoluzione dei contratti, che non possono essere più adempiuti dopo la domanda di risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c.".

Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 28 luglio 1950, n. 2122
"Anche sotto l'impero del cod.civ. del 1865, il principio della operatività di diritto della clausola risolutiva espressa andava inteso non nel senso che l'inadempimento importasse di necessità ed automaticamente lo scioglimento del contratto, ma nell'altro senso che la parte, verso la quale non era stata eseguita l'obbligazione, se intendeva sciogliersi dal contratto non aveva bisogno di rivolgersi al giudice, essendo sufficiente una sua manifestazione di volontà di volersi avvalere della clausola. Anche se sia stata stipulata la clausola risolutiva espressa, sino a quando il diritto alla risoluzione non sia stato esercitato dal creditore, a cui tutela è stato concesso, il contratto è in vita e il debitore può utilmente adempiervi, ancorché tardivamente. Pertanto, anche quando il creditore non abbia saputo o non sia stato posto in condizione di sapere che il debitore è in commissum, la risoluzione del contratto deve intendersi verificata non con l'avverarsi del fatto costituito dell'inadempimento, ma con la dichiarazione del creditore, debitamente comunicata alla controparte di volersi avvalere della clausola apposta al contratto. A norma dell'art. 973 cod.civ. e 149 delle relative Disposizioni transitorie, la clausola risolutiva espressa per una data inadempienza, apposta ad un contratto di enfiteusi anteriore al nuovo codice, se siasi verificata dopo il 28 ottobre 1941 non preclude la facoltà dell'enfiteuta di chiedere l'affrancazione del fondo, anche dopo che il domino diretto abbia dichiarato di volersi avvalere della clausola ed abbia iniziato il giudizio di devoluzione (nel quale giudizio l'affrancazione può essere richiesta in via riconvenzionale); ciò sempre che l'inadempienza contrattuale prevista quale causa di risoluzione non consista nell'avere deteriorato il fondo o non averlo migliorato, e il giudice non riscontri che tale inadempienza abbia carattere di notevole gravità. L'art. 311 cod.proc.civ. che, per i giudizi davanti al pretore rinvia alle norma relative al procedimento dinanzi al tribunale, non pone limiti alla difesa delle parti, dacché il rinvio alle norme relative al procedimento dinanzi al tribunale, non si estende alle preclusioni previste dagli artt.183 e 184 cod.proc.civ. essendo esse incompatibili con l'oralità e il minore rigore formale del procedimento pretorile. Normalmente il creditore dell'enfiteuta non è parte nel giudizio di devoluzione proposto dal concedente verso l'enfiteuta stesso, ed a tutela del proprio diritto può valersi del diritto di intervento previsto dall'art. 974 cod.civ. ; ma se il creditore per una qualsiasi ragione (nella specie, quale alienante dell'utile dominio enfiteutico) trovasi ad essere parte del rapporto processuale (giudizio di devoluzione pendente tra concedente ed enfiteuta), non per questo è privato del diritto sostanziale alla conservazione del suo diritto di credito (nella specie, per il prezzo derivante dall'alienazione); all'opposto, egli può proporre tutte le domande ed azioni che si riconnettono ad un diritto di credito, non esclusa l'Azione diretta all'affrancazione, prevista dall'art. 974; e ciò anche se sia improcedibile l'analoga riconvenzionale proposta direttamente dall'attuale enfiteuta, per mancato preventivo deposito del prezzo di affrancazione. Tale facoltà il creditore presente in giudizio può, trattandosi di giudizio di pretura ove non operano le preclusioni previste dagli artt.183 e 184 cod.proc.civ., esercitare fino a quando non si sia chiusa la discussione nel processo di primo grado".

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Virginia Sacco
Dottoressa in Giurisprudenza
Dopo la laurea presso l'Università degli Studi di Napoli - Federico II, ho seguito le mie passioni specializzandomi prima in Sicurezza economica, Geopolitica e Intelligence presso SIOI - UN ITALY e, successivamente, in Diritto dell'Unione Europea presso il mio ateneo di origine. Ho concluso la pratica forese in ambito penale, occupandomi di reati finanziari e doganali. Nel corso degli anni ho preso parte attivamente a eventi, attività e progetti a livello europeo e internazionale, approfondendo i temi della cooperazione giudiziaria e del diritto penale internazionale. Ho scritto di cybersicurezza, minacce informatiche e sicurezza internazionale per "Agenda Digitale" e "Cyber Security 360". Su Lexplain scrivo di diritto con parole semplici e accessibili.
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