La norma sulla tutela del diritto al nome, nel nostro Codice civile, è contenuta nell’art. 7 che così recita:
“Art. 7. Tutela del diritto al nome.
La persona, alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni.
L'autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali”.
Spiegazione dell’art. 7 del Codice civile
Nel nostro ordinamento, dunque, è riconosciuta piena tutela al diritto al nome. Se infatti viene contestato a un soggetto l’utilizzo del nome oppure se qualcuno ne faccia un uso indebito, può essere richiesta giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento del danno.
In una recente pronuncia il Tribunale di Milano, sez. X, sentenza del 26 gennaio 2022, n.558 ha chiarito i profili di tutela del diritto al nome, che si sostanzia nel diritto alla propria identità, e trova fondamento nell'art. 2 Cost., “anche indipendentemente da una lesione all'onore, al decoro o alla reputazione della persona”.
Secondo il Tribunale di Milano la lesione del diritto al nome “può avvenire anche attraverso un qualsiasi uso indebito del nome o dell'immagine altrui, consistente nel far credere l'esistenza di un qualsiasi collegamento tra usurpatore e titolare del diritto”, questo poiché “l'abusiva pubblicazione dell'immagine determina il danno patrimoniale e la notorietà del bene attribuisce al titolare la possibilità di trarre da nome e immagine vantaggi patrimoniali consentendo a terzi l'uso pubblicitario dell'immagine”.
Tutela del diritto al nome e identità sessuale della persona
Il diritto al nome riceve dunque una tutela autonoma, indipendentemente dalla valutazione di ogni altro profilo relativo all’onore o alla reputazione del soggetto leso. Questo poiché il diritto al nome è strettamente collegato all’identità del soggetto, e la sua tutela va garantita a prescindere da ogni altra considerazione.
Il tema della tutela del diritto al nome involge dunque numerosi aspetti della personalità dell’individuo, che attengono alla sua identità, per questo motivo è un tema particolarmente delicato.
Sul punto la giurisprudenza della CEDU è particolarmente illuminante. Con sentenza del 19 gennaio 2021, n. 2145/16 è stato ad esempio stabilito che i transgender e i transessuali non possono essere obbligati a compiere o completare un percorso che incide sulla loro vita intima.
Di conseguenza, la persona che mantenga gli organi genitali originari deve poter ottenere il cambiamento dello stato civile e dunque del nome, in caso contrario si realizzerebbe una grave violazione dei diritti dell’uomo.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 221/2015 ha in particolare stabilito che il ricorso alla modificazione dei caratteri sessuali deve essere autorizzata in funzione di garanzia del diritto alla salute, poiché permette alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico.
Di conseguenza, la prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza tra sesso anatomico e sesso anagrafico, conduce a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come mezzo funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico.
Nello stesso la Corte di cassazione, sez. I, con ordinanza del 17 febbraio 2020, n. 3877 ha stabilito che il riconoscimento del primario diritto alla identità sessuale sotteso alla rettificazione del nome, rende consequenziale la rettificazione del prenome.
Il prenome, per la Corte, non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, in quanto il giudice deve tenere conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se completamente diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato.