La norma sul diritto al nome è contenuta all’art. 6 del Codice civile, che è compreso nel Libro I intitolato “Delle persone e della famiglia” e nel Titolo I dedicato alla disciplina delle persone fisiche.
L’art. 6 del Codice civile attualmente vigente così dispone:
“Art. 6. Diritto al nome.
Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito.
Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati”.
Spiegazione dell'art. 6 del Codice civile
Il diritto al nome è uno dei fondamentali diritti della personalità, poiché sottende la possibilità per una persona di essere identificata, e di poter partecipare attivamente, di conseguenza, alla vita di relazione.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ricondotto il diritto al nome nell’ambito della tutela contemplata dall’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950.
Questo poiché il diritto al nome è strettamente connesso alla tutela dell’identità individuale e al principio di non discriminazione dell’individuo.
Nella nostra Costituzione, all’art. 22, è infatti stabilito che “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”.
Il diritto al nome è dunque compreso tra quei diritti inviolabili che, sulla base dell’art. 2 della Costituzione, la Repubblica riconosce e garantisce.
Caratteristiche del diritto al nome
I diritti della personalità sono diritti assoluti, ovvero possono essere fatti valere erga omnes.
La tutela del diritto al nome può dunque essere fatta valere nei confronti di chiunque.
I diritti della personalità sono inoltre imprescrittibili, di conseguenza il diritto al nome non può di certo essere considerato prescritto per mancato utilizzo.
I diritti della personalità sono poi indisponibili, non possono dunque essere alienati ovvero ceduti sotto qualsiasi forma ad altri.
Il diritto al nome non potrà di certo essere oggetto di compravendita, questo poiché si tratta di un diritto personalissimo.
Il nome è formato dal prenome e dal cognome, e non può essere modificato se non secondo le modalità previste dalla legge.
La modifica del proprio nome: come si fa?
La disciplina che prevede la procedura di modifica del proprio nome è contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 2012, n. 54.
Viene previsto che chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, “anche perché ridicolo o vergognoso” o perché “rivela l'origine naturale” o aggiungere al proprio un altro cognome, “deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce”.
Viene inoltre disposto che “Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta”.
Come si può notare, la disciplina effettua riferimenti specifici a talune motivazioni alla base della volontà di cambiare il proprio nome o il proprio cognome.
Si fa riferimento a un cognome “ridicolo o vergognoso” ovvero alla rivelazione dell’ "origine naturale". Nella domanda, che deve essere fatta al Prefetto, devono dunque essere indicati le ragioni specifiche della volontà di cambiare il proprio nome e il proprio cognome, ragioni che possono essere allineate con la previsione sopra menzionata.
Successivamente alla valutazione della domanda, il Prefetto, con decreto, autorizza l’affissione all’albo pretorio del comune di nascita e del comune di residenza attuale, di un avviso contenente il sunto della domanda.
L’affissione deve avere la durata di trenta giorni consecutivi. Trascorso tale termine senza che sia proposta opposizione, il richiedente deve inoltrare alla Prefettura un esemplare dell’avviso con la relazione che attesta la eseguita affissione e la sua durata.
Il Prefetto, accertata la regolarità della procedura, provvede a emanare il decreto di concessione al cambiamento del nome o del cognome richiesto.
Il cognome della mamma: adesso il nuovo nato ne ha diritto!
Da sempre, al momento della nascita, viene automaticamente attribuito a ciascuno il cognome del padre.
Questa che sembrava una verità assoluta e dunque incontestabile è stata invece completamente spazzata via dalla Corte Costituzionale.
Con storica sentenza del 21 dicembre 2016, n.286 la Corte Costituzionale ha stabilito la possibilità per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome, nonché la possibilità per il figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della madre.
Per la Corte, infatti, qualora tale diritto fosse precluso, pregiudicherebbe il diritto all’identità personale del minore e, inoltre, costituirebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi.
Ha infatti affermato la Corte, valorizzando il diritto al nome nel complesso dei principi tracciati dal Costituente, che il diritto al nome costituisce “punto di emersione dell’appartenenza del singolo a un gruppo familiare”, dunque i criteri di attribuzione del cognome del minore costituiscono “profili determinanti della sua identità personale, che si proietta nella sua personalità sociale, ai sensi dell’art. 2 Cost”.
Con sentenza del 27 aprile 2023 la Corte Costituzionale si è spinta oltre affermando che la regola dell’automatica attribuzione del cognome paterno, nel violare il principio di eguaglianza, è costituzionalmente illegittima.
La Corte ha rimarcato “Il carattere in sé discriminatorio della disposizione censurata, il suo riverberarsi sull’identità del figlio e la sua attitudine a rendere asimmetrici, rispetto al cognome, i rapporti fra i genitori”.
Secondo la Corte, infatti, “Il cognome del figlio deve comporsi con i cognomi dei genitori”, poiché “La proiezione sul cognome del figlio del duplice legame genitoriale è la rappresentazione dello status filiationis: trasla sull’identità giuridica e sociale del figlio il rapporto con i due genitori. Al contempo, è il riconoscimento più immediato e diretto del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali”.
L’ordine di attribuzione dei cognomi, secondo la Corte, va concordato dai genitori.
Secondo quanto chiarito dalla Corte Costituzionale con comunicato stampa del 27 aprile 2023, dunque, “la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due”.
In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, è fatto salvo l’intervento del giudice.
La Corte ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi.
Allo stato attuale, è quindi compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla sentenza storica pronunciata dalla Corte costituzionale.