L'articolo 595 del Codice Penale, di cui al Libro II – Dei delitti in particolare, Titolo XII – Dei delitti contro la persona, Capo II – Dei delitti contro l'onore, è rubricato come "Diffamazione".
Il testo aggiornato dell'art. 595 c.p. dipone:
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, oppure della multa fino a 2.065 euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
Procedibilità: a querela di parte
Competenza: Giudice di pace (1° e 2° comma), Tribunale monocratico (3° e 4° comma);
Arresto: non consentito
Fermo: non consentito
Custodia cautelare in carcere: non consentita
Altre misure cautelari personali: non consentite
Termine di prescrizione: 6 anni
La diffamazione è uno dei reati contro l’onore previsti dal Codice Penale.
L’offesa deve riguardare una persona determinata, non è necessario che sia individuata per nome ma che sia facilmente e certamente identificabile.
L’offesa deve essere pronunciata in assenza della persona diffamata, che non può intervenire, controbattere e difendersi, per questo è un reato a forma libera.
Comunicare a più persone è un altro dei presupposti previsti dal reato.
Si ritiene che anche il caso in cui l’agente si indirizzi ad una sola persona ma parlando ad alta voce in modo da essere udito anche da altri con facilità, possa integrare la comunicazione offensiva.
La diffamazione è un reato di evento, cioè si consuma nell’istante e nel luogo in cui l’offesa viene percepita dai suoi destinatari.
Vediamo alcune degli orientamenti rilevanti della giurisprudenza:
Corte di Cassazione, sez. V, sent. n. 12548 del 20 marzo 2019
"Il direttore di un giornale risponde del reato di diffamazione, poiché responsabile del tenore diffamatorio che accompagna l’articolo pubblicato, nel caso in cui abbia contribuito a formare il titolo o abbia approvato consapevolmente i contenuti prima che venissero mandati in stampa".
Corte di Cassazione Civile, sez. III, sent. n. 10252 del 12 maggio 2014
"La responsabilità del direttore del giornale per i danni cagionati dalla diffamazione pubblicata a mezzo stampa è data dal fatto che costui ha l’obbligo di controllo e facoltà di sostituzione dei contenuti".
Corte di Cassazione, sez. V, sent. 20 luglio 2023, n. 31726
"Integra il delitto di diffamazione la condotta del responsabile di un ufficio stampa che, su disposizione del suo autore, invii a varie testate giornalistiche, per l'eventuale pubblicazione, uno scritto lesivo dell'altrui reputazione, poiché la consapevole e volontaria divulgazione del documento è condotta eziologicamente funzionale all'ostensione delle notizie in danno della persona offesa".
Corte di Cassazione, sez. I, sent. 9 giugno 2023, n. 26309
"In tema di delitti contro l'onore, la causa di non punibilità della provocazione, di cui all'art. 599 cod. pen., può essere riconosciuta anche a livello putativo, ai sensi dell'art 59, comma quarto, cod. pen., diversamente dall'attenuante della provocazione prevista dall'art. 62 n. 2 cod. pen., che rileva, invece, solo obiettivamente".
Corte di Cassazione, sez. V, sentenza 9 giugno 2023, n. 25037
"In tema di diffamazione a mezzo "internet", anche in mancanza di accertamenti informatici sulla provenienza dei "post", è possibile riferire il fatto diffamatorio al suo autore su base indiziaria, a fronte della convergenza, pluralità e precisione di dati quali: il movente; l'argomento trattato nelle frasi pubblicate o il tenore offensivo dei contenuti; il rapporto tra le parti; la provenienza dei messaggi dalla bacheca virtuale dell'imputato, con utilizzo del "nickname" dello stesso; l'assenza di denuncia di "furto di identità" da parte dell'intestatario del "profilo" sul quale vi è stata la pubblicazione dei "post" incriminati".
Corte di Cassazione, sez. III, ordinanza 10 febbraio 2023, n. 4242
"In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esercizio del diritto di cronaca ha efficacia esimente, sotto il profilo della verità putativa della notizia, ove questa sia tratta da un procedimento disciplinare interno a una P.A., valido ed efficace al momento della sua divulgazione, trattandosi di un atto di investigazione interna, di rilievo pubblico sul quale il giornalista può fare legittimo affidamento".