L’articolo 460 del Codice Civile, rubricato “Poteri del chiamato prima dell'accettazione”, rientra nel Libro II – Delle successioni, Titolo I – Disposizioni generali delle successioni, Capo I – Dell’apertura della successione, della delazione e dell’acquisto dell’eredità.
La successione è una fase di passaggio in cui una persona (ovvero il successore o avente causa) subentra alla posizione giuridica di un'altra (l'autore o dante causa).
Vediamo il testo aggiornato della norma, il commento e la spiegazione semplice.
Art. 460 c.c.: testo aggiornato
Ecco il testo aggiornato e quindi ufficiale dell’art. 460 del Codice Civile:
Comma 1 dell’art. 460 c.c. “Il chiamato all'eredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno di materiale apprensione”.
Comma 2 dell’art. 460 c.c. “Egli inoltre può compiere atti conservativi di vigilanza e di amministrazione temporanea, e può farsi autorizzare dall'autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio”.
Comma 3 dell’art. 460 c.c. “Non può il chiamato compiere gli atti indicati nei commi precedenti, quando si è provveduto alla nomina di un curatore dell'eredità a norma dell'art. 528”.
Articolo 460 del Codice Civile: commento e spiegazione
Grazie alla formulazione dell’articolo 460 del Codice Civile, il legislatore ha inteso evitare l’impossessamento e la disposizione indebita dei beni ereditari da parte di terzi, nel corso del periodo che intercorre tra la delazione dell’eredità e la sua accettazione da parte del chiamato.
Il testamento assume il titolo primario e assorbente poichè espressione massima della volontà del de cuius, tuttavia, il riferimento nella norma del "chiamato all’eredità” indica sia il delato che colui il quale è chiamato all’accettazione e non vi abbia ancora provveduto.
Tra le facoltà riconosciute al chiamato, vi è anche il disporre atti conservativi: dal momento che questi ha l’interesse di tutelare la propria posizione e non quella altrui, non gli spetterà alcun compenso se non quello dovuto a titolo di rimborso per le spese di amministrazione.
I poteri di conservazione, vigilanza e amministrazione riconosciuti al cd. delato, riconoscono a questi una serie di poteri provvisori, finalizzati alla conservazione del patrimonio ereditario e in vista dell'accettazione.
Sono espressione del potere di vigilanza tutti quegli atti conclusi dal delato e che constano di natura cautelare, ovvero che hanno l’intento di individuare la consistenza dell’eredità: si pensi alle attività di consultazione e verifica dei registri e delle scrittura contabili, così come di documenti.
L’attività di conservazione, invece, si estrinseca in tutti quegli atti che intendano evitare il deterioramento o la dispersione dei beni oggetto dell’eredità. Di questi fanno parte tutti quegli atti interruttivi come l’usucapione, la prescrizione oppure la trascrizione di un atto d’acquisto del de cuius.
Infine, il potere di conservazione viene escluso nel caso in cui sia stato nominato un curatore dell’eredità giacente. Il curatore è l’incaricato alla gestione del complesso dei beni ereditari, fintanto che intervenga l'accettazione dell'eredità da parte del chiamato.
Casistica giurisprudenziale in tema di art. 460 c.c.
Vediamo le casistiche della giurisprudenza in tema di art. 460 c.c.
Corte di Cassazione, sezione 2, ordinanza 11 agosto 2021, n. 22730
“L'erede che intenda esercitare un diritto riconducibile al "de cuius" deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione di quello, fornendo la prova, mediante la produzione in giudizio di idonea documentazione, del decesso della parte originaria e della propria qualità di erede; solo successivamente acquisisce rilievo l'accettazione dell'eredità, la quale può anche avvenire tacitamente, attraverso l'esercizio di un'azione petitoria”.
Corte di Cassazione, sezione 6-2, ordinanza 1 marzo 2021, n. 5569
“L'accettazione tacita dell'eredità postula, ex art. 476 c.c., la ricorrenza di due condizioni e, cioè, il compimento di un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e la qualificazione di tale atto, nel senso che ad esso non sia legittimato se non chi abbia la qualità di erede. Ne consegue che ricorre un'ipotesi di accettazione tacita nel caso di concessione d'ipoteca su uno dei beni compresi nell'eredità, in quanto atto di disposizione del medesimo, ove posta in essere in assenza di qualsiasi riferimento ad una delle circostanze che potrebbero giustificarne il compimento da parte del chiamato”.
Corte di Cassazione, sezione 2, ordinanza 30 settembre 2020, n. 20878
“Per aversi accettazione tacita di eredità non basta che un atto sia compiuto dal chiamato all'eredità con l'implicita volontà di accettarla, ma è altresì necessario che si tratti di atto che egli non avrebbe diritto di porre in essere, se non nella qualità di erede. Pertanto, poiché il pagamento di un debito del "de cuius", che il chiamato all'eredita effettui con danaro proprio, non è un atto dispositivo e, comunque, suscettibile di menomare la consistenza dell'asse ereditario – tale, cioè, che solo l'erede abbia diritto a compiere – ne consegue che rispetto ad esso difetta il secondo dei suddetti requisiti, richiesti in via cumulativa e non disgiuntiva per l'accettazione tacita”.
Corte di Cassazione, sezione 2, ordinanza 23 luglio 2020, n. 15663
“L'atto di accettazione dell'eredità, in applicazione del principio "semel heres semper heres", è irrevocabile e comporta in maniera definitiva l'acquisto della qualità di erede, la quale permane, non solo qualora l'accettante intenda revocare l'atto di accettazione in precedenza posto in essere, ma anche nell'ipotesi in cui questi compia un successivo atto di rinuncia all'eredità. La regola della retroattività della rinuncia deve, infatti, essere riferita alla sola ipotesi in cui nelle more tra l'apertura della successione e la data della rinuncia il chiamato non abbia ancora posto in essere atti idonei ad accettare l'eredità, e non anche al diverso caso in cui nelle more sia intervenuta l'accettazione dell'eredità”.
Corte di Cassazione, sezione 3, ordinanza 26 giugno 2018, n. 16814
“Nel caso di azione proposta da un soggetto che si qualifichi erede del "de cuius" in virtù di un determinato rapporto parentale o di coniugio, la produzione del certificato dello stato di famiglia è idonea a dimostrare l'allegata relazione familiare e, dunque, la qualità di soggetto che deve ritenersi chiamato all'eredità, ma non anche la qualità di erede, posto che essa deriva dall'accettazione espressa o tacita, non evincibile dal certificato; tuttavia, tale produzione, unitamente alla allegazione della qualità di erede, costituisce una presunzione "iuris tantum" dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità, atteso che l'esercizio dell'azione giudiziale da parte di un soggetto che si deve considerare chiamato all'eredità, e che si proclami erede, va considerato come atto espressivo di siffatta accettazione e, quindi, idoneo a considerare dimostrata la qualità di erede”.
Corte di Cassazione, sezione 3, ordinanza 6 giugno 2018, n. 14499
“Poiché l'accettazione tacita dell'eredità può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, ovvero da un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale, essa è implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che – perché intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o al risarcimento dei danni per la mancata disponibilità di beni ereditari – non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c., sicchè, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di proporle e, proponendole, dimostra di avere accettato la qualità di erede”.
Corte di Cassazione, sezione 2, ordinanza 24 aprile 2018, n. 10060
“Poiché l'accettazione tacita dell'eredità può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, "id est" con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità, essa può legittimamente reputarsi implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che – essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari – non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c., ma travalichino il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione, e che, quindi, il chiamato non avrebbe diritto di proporle se non presupponendo di voler far propri i diritti successori”.
Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 25 marzo 2013, n. 7464
“In ipotesi di interruzione del processo per morte di una parte, l'altra parte può operare la riassunzione, entro un anno dalla morte stessa, con notifica fatta collettivamente ed impersonalmente agli eredi del defunto, nell'ultimo domicilio di questo, ai sensi dell'art. 303, secondo comma, cod. proc. civ., comprendendosi in tale ambito il chiamato all'eredità che non abbia ancora accettato, la cui legittimazione deriva sia dalla norma di carattere generale sui poteri del chiamato all'eredità prima dell'accettazione, di cui all'art 460 cod. civ., sia, ove si tratti di eredità devoluta a minori, dall'art 486 cod. civ., secondo il quale il chiamato può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l'eredità durante i termini per fare l'inventario e per deliberare”.
Corte di Cassazione, sezione 2, sentenza 14 novembre 2004, n. 21616
“La possibilità di essere chiamato, in qualità di legittimario, alla successione "mortis causa" di altra persona ancora in vita non integra una situazione giuridica tutelabile in sé, né si risolve in una ragione di credito idonea a legittimare l'interferenza nella sfera giuridica dell'altro soggetto”.
Corte di Cassazione, sezione TRI, sentenza 12 maggio 2003, n. 7252
“In tema di successione «mortis causa», il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270 applicabile «ratione temporis», perché vigente all'epoca dell'apertura della successione «de qua», pur non contenendo una disposizione di tenore identico a quella di cui agli artt. 36, ultimo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 e 28, comma quarto, D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, riguardante la distribuzione dell'obbligo della dichiarazione di successione fra una pluralità di soggetti, consente – sulla base dell'art. 55 – di ritenere – al pari di quelle successive previsioni legislative – che, in caso di eredità giacente, la dichiarazione di successione da parte dell'erede non può considerarsi omessa quando un altro dei soggetti elencati in tale disposizione come disgiuntamente obbligato, con quello, alla presentazione”.