L’art. 29 della Costituzione italiana così dispone:
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
Spiegazione dell’art. 29 della Costituzione
A norma dell’art. 29 vengono riconosciuti i diritti della famiglia e viene inoltre stabilito il fondamentale principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
La disposizione in commento ha fondato una serie di sentenze interessanti con cui sono state abrogate una serie di disposizioni ritenute non in linea con il concetto di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Un esempio è costituito dalla pronuncia della Corte costituzionale del 15 luglio 1976, n.179 con cui è stata stabilita l'illegittimità dell’art. 2, comma primo, del d.p.r. n. 597 del 1973 nella parte in cui disponeva che unico soggetto passivo dell'imposta personale sui redditi fosse il marito.
Casistica giurisprudenziale
Può essere utile la lettura di alcune sentenze risalenti che aiutano a comprendere l’evoluzione del concetto di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Corte Costituzionale, sentenza del 15 luglio 1976, n. 179
“L'art. 2, comma primo, del d.P.R. n. 597 del 1973, nel disporre che unico soggetto passivo dell'imposta personale sui redditi sia tra i due coniugi non separati solo il marito, determina un trattamento giuridico diverso tra i coniugi con conseguente violazione degli artt. 3 e 29 della Costituzione: la detta disparita' di trattamento, infatti, non si presenta adeguatamente e razionalmente giustificata e, con particolare riferimento all'art. 29 della Costituzione, non puo' dirsi che essa tenda a realizzare un limite alla eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi in funzione della garanzia dell'unita' familiare”.
Corte Costituzionale, sentenza del 13 luglio 1970, n. 133
“Conformemente all'indirizzo giurisprudenziale seguito dalla Corte, in materia di rapporti tra coniugi, a partire dalla sentenza n. 126 del 1968, si deve ritenere che le norme che siano fonte di svantaggio per un coniuge non possano essere giustificate, nell'ambito di una valutazione di legittimita' costituzionale, dal fatto che altre norme conferiscano allo stesso coniuge, a proposito di altre situazioni subbiettive nascenti dal matrimonio, una posizione di vantaggio (o viceversa). Ed invero, dal momento che si riconosce che la salvaguardia dell'unita' familiare costituisce il solo legittimo limite all'eguaglianza dei coniugi, bisogna convenire che l'unico accertamento rilevante e' se le diversita' di trattamento di volta in volta considerate, trovino in quella esigenza – e solo in essa – la loro giustificazione costituzionale”.
Corte Costituzionale, sentenza del 19 dicembre 1968, n. 126
“Per l'unita' familiare costituisce indubbiamente un pericolo sia l'adulterio del marito sia quello della moglie; ma quando la legge faccia un differente trattamento, questo pericolo assume proporzioni piu' gravi, sia per i riflessi sul comportamento di entrambi i coniugi, sia per le conseguenze psicologiche sui soggetti. Pertanto, i commi primo e secondo dell'art. 559 del codice penale sono viziati di illegittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 29 della Costituzione, in quanto sanciscono una deroga al principio di eguaglianza dei coniugi non essenziale per la garanzia dell'unita' familiare, ma risolventesi, piuttosto, per il marito, in un privilegio; e questo, come tutti i privilegi, viola il principio di parita'”.