L’art. 21 della Costituzione italiana così dispone:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
Spiegazione dell’art. 21 della Costituzione
L’art. 21 della Costituzione dispone che ognuno è libero di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stabilito che: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.
Conseguenza del riconoscimento di questa libertà è il fatto che la stampa non può essere soggetta a censure o ad autorizzazione. L’unico limite è rappresentato dalla contrarietà al buon costume.
Il sequestro è possibile solo nei seguenti casi:
- quando vi sia atto motivato dell’autorità giudiziaria;
- quando vi sia assoluta urgenza e il sequestro venga disposto dagli ufficiali di polizia giudiziaria.
In tale ultima ipotesi, gli ufficiali di polizia giudiziaria sono tenuti a comunicare il sequestro all’autorità giudiziaria entro 24 ore e la stessa deve convalidarlo entro le 24 ore successive. In caso contrario, il sequestro è revocato ed è privo di ogni effetto.
Casistica giurisprudenziale
Di seguito alcune interessanti sentenze sul tema:
Corte Costituzionale, sentenza del 12 luglio 2021, n. 150
“Sono dichiarate non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Salerno in riferimento agli artt. 3, 21 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 10 CEDU, dell'art. 595, terzo comma, cod. pen., che configura una circostanza aggravante del delitto di diffamazione, integrata allorché l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico. La previsione in via soltanto alternativa della pena detentiva da parte della norma censurata non può ritenersi di per sé in contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero. Aggressioni illegittime alla reputazione compiute attraverso la stampa, o attraverso gli altri mezzi di pubblicità cui si riferisce l'art. 595, terzo comma, cod. pen. – la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e gli altri siti internet, i social media, e così via -, possono infatti incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime. E tali danni sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati proprio dai moderni mezzi di comunicazione. Questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall'ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare, in modo da schermare il rischio di indebita intimidazione esercitato su chi svolga la professione giornalistica. Tra questi strumenti non può in assoluto escludersi la sanzione detentiva, sempre che la sua applicazione sia limitata ai casi in cui la diffamazione si caratterizzi per la sua eccezionale gravità, tra cui possono annoverarsi i discorsi d'odio e l'istigazione alla violenza, ma anche campagne di disinformazione condotte attraverso la stampa, internet o i social media, caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della – oggettiva e dimostrabile – falsità degli addebiti stessi.. Al di fuori di quei casi eccezionali, la prospettiva del carcere resterà esclusa per il giornalista, così come per chiunque altro che abbia manifestato attraverso la stampa o altri mezzi di pubblicità la propria opinione; restando aperta soltanto la possibilità che siano applicate pene diverse dalla reclusione, nonché rimedi e sanzioni civili o disciplinari. Pertanto, la disposizione censurata deve essere interpretata nel senso che essa attribuisce al giudice un potere discrezionale che deve essere esercitato tenendo conto dei criteri di commisurazione della pena indicati nell'art. 133 cod. pen., ma anche – e ancor prima – delle indicazioni derivanti dalla Costituzione e dalla CEDU; e ciò anche al fine di evitare la pronuncia di condanne penali che potrebbero successivamente dar luogo a una responsabilità internazionale dello Stato italiano per violazioni della Convenzione. Tale interpretazione consente di escludere anche il contrasto della disposizione censurata con l'art. 3 Cost. (Precedente citato: sentenza n. 68 del 2017).
Se è vero che la libertà di espressione – in particolare sub specie di diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti – costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non è men vero che la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignità della persona. (Precedente citato: ordinanza n. 132 del 2020)”.
Corte di Cassazione, sezione I, ordinanza del 30 dicembre 2022, n. 38165
“In tema di diritto d'autore, la parodia costituisce un atto umoristico o canzonatorio che si caratterizza per evocare un'opera, o anche un personaggio di fantasia e non richiede un proprio carattere originale, diverso dalla presenza di percettibili differenze rispetto all'opera o al personaggio che sono parodiati; il limite cui soggiace la parodia consiste nella salvaguardia del giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che ha titolo allo sfruttamento dell'opera o del personaggio, e la libertà di espressione dell'autore della parodia stessa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che, nell'escludere la liceità di uno "spot" pubblicitario realizzato attraverso la parodia del personaggio Zorro, aveva erroneamente ritenuto che la parodia dovesse tradursi in una rielaborazione di un'opera originale avente un riconoscibile apporto creativo)”.
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza del 23 maggio 2014, n. 11515
“In tema di cooperative teatrali, l'esclusione del socio per lo svolgimento di un'attività concorrente deve essere fondata su una disposizione statutaria, da interpretarsi in modo compatibile con i principi costituzionali di libertà di espressione artistica e di manifestazione del pensiero, i quali impediscono di ritenere automaticamente sanzionate attività non strettamente imprenditoriali, quali la costituzione di un'altra associazione culturale, sia pure operante nel campo della valorizzazione teatrale, e la partecipazione a spettacoli prodotti da terzi”.