L’articolo 1346 del Codice Civile, rubricato “Requisiti”, rientra nel Libro IV – Delle obbligazioni, Titolo II – Dei contratti in generale, Sezione III – Dell'oggetto del contratto.
All’art. 1346 c.c. viene stabilito che l'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile.
Vediamo il testo aggiornato della norma, il commento e la spiegazione semplice.
Art. 1346 c.c.: testo aggiornato
Ecco il testo aggiornato dell’art. 1346 del Codice Civile:
“Art. 1346 c.c
L'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”.
Art. 1346 c.c.: spiegazione
Ai sensi dell'art. 1346 del Codice civile è stabilito che l'oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile.
La Cassazione, sez. II, con ordinanza del 24 gennaio 2020, n. 1626 ha stabilito che: "In tema di preliminare di compravendita immobiliare, la possibilità di determinare l'oggetto del contratto mediante il rinvio ad elementi esterni individuabili "aliunde", idonei a consentire in modo inequivoco l'identificazione del bene oggetto della futura vendita, trova un limite qualora questo sia individuato per "relationem" in un atto destinato a formare parte integrante dell'accordo negoziale, poiché in tal caso la volontà delle parti limita la possibilità di avvalersi di elementi esterni diversi dall'atto specificamente richiamato in contratto e destinato a formarne parte integrante. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto non determinato, né altrimenti determinabile, il bene promesso in vendita, giacché identificato dalle parti mediante il rinvio, contenuto nel preliminare, ad una planimetria allegata al contratto,non prodotta, però, in giudizio)".
In altra interessante sentenza, la Cassazione, sez. III, 8 maggio 2006, n. 10490, ha stabilito coordinate ermeneutiche fondamentali: "Va preliminarmente escluso che la nullità della convenzione negoziale in parola derivi dalla pretesa impossibilità dell'oggetto del contratto, così come opinato dal ricorrente.
E' noto come la dottrina manualistica sia solita distinguere, quanto all'oggetto della prestazione dedotta in obbligazione, tra impossibilità fisica e giuridica, definendo fisica la impossibilità derivante da prestazione impossibilis in rerum natura (quale la traditio di una cosa distrutta), giuridica quella che, pur non consistendo di per sè in un illecito (ciò che distingue la prestazione ad oggetto impossibile da quella ad oggetto illecito, come la vendita di banconote contraffatte), è purtuttavia inattuabile in conseguenza di un divieto normativo (quale quello di edificazione violando le distanze legali).
E' palese come, nel caso di specie, non ricorra nessuna delle così descritte fattispecie di impossibilità, trattandosi di prestazione (attività di consulenza) possibile tanto nella sua fisicità che sotto il profilo della conformità a norme di diritto, di talchè l'assunto difensivo risulta, in parte qua, infondato.
Merita ulteriore considerazione, invece, la questione, del pari sollevata dal ricorrente, della causa del negozio giuridico stipulato tra le parti.
E' innegabile che, intesa nel comune significato di "funzione economico sociale" del contratto – secondo un approccio ermeneutico, peraltro, di tipo "astratto" -, il negozio oggetto della presente controversia non possa legittimamente dirsi "privo di causa", corrispondendo esso, addirittura, ad uno schema legale tipico, quello disegnato dall'art. 2222 c.c..
Ma, a giudizio di questo collegio, la nozione di causa così delineata non corrisponde, nella specie (così come in via di principio generale) a quella che, dopo attenta riflessione della più recente dottrina, deve ritenersi concetto correttamente predicabile con riferimento al profilo oggettivo della struttura contrattuale.
E' opinione corrente quella secondo cui la prima elaborazione del concetto di causa (sostanzialmente estranea all'esperienza romana come elemento costitutivo del negozio, che doveva corrispondere essenzialmente a "modelli" formali) sia stata il frutto della riflessione dei giuristi d'oltralpe che, tra il 1625 ed il 1699, distinguendo per la prima volta sul piano dogmatico i contratti commutativi dalle donazioni, individueranno nell'obbligazione di una parte verso l'altra il fondamento della teoria causale (e di qui, l'origine storica della perdurante difficoltà a superare la dicotomia contratto di scambio-liberalità donativa). Gli stessi rapporti tra la causa e gli altri elementi del contratto, apparentemente indiscussi nei relativi connotati di alterità, paiono, nel progressivo dipanarsi del concetto di causa negotii, talvolta sfumare in zone di confine più opache (si pensi alla relazione causa/volontà nei negozi di liberalità; a quella causa/forma ed all'avvicinamento delle due categorie concettuali verificabile nei negozi astratti; a quella causa/oggetto, con le possibili confusioni a seconda della nozione che, di entrambe le categorie giuridiche, ci si risolva di volta in volta ad adottare, oggetto del contratto essendo tanto la rappresentazione ideale di una res dedotta in obbligazione, quanto la res stessa, causa risultando la funzione dello scambio in relazione proprio a quell'oggetto).
Tutte le possibili definizioni di causa succedutesi nel tempo (che un celebre civilista degli anni '40 non esita a definire "oggetto molto vago e misterioso") hanno visto la dottrina italiana in permanente disaccordo (mentre negli altri paesi il dibattito è da tempo sopito), discorrendosi, di volta in volta, di scopo della parte o motivo ultimo (la c.d. teoria soggettiva, ormai adottata dalla moderna dottrina francese, che parla di causa come But); di teoria della controprestazione o teoria oggettiva classica (che sovrappone, del tutto incondivisibilmente, il concetto di causa del contratto con quello di causa/fonte dell'obbligazione); di funzione giuridica ovvero di funzione tipica (rispettivamente intese in guisa di sintesi degli effetti giuridici essenziali del contratto, ovvero di identificazione del tipo negoziale – che consente ad alcuni autori di predicare la sostanziale validità del negozio simulato sostenendone la presenza di una causa, intesa come "tipo" negoziale astratto, sia pur fittizio, quale una donazione, una compravendita, ecc. -); di funzione economico-sociale, infine, cara alla c.d. teoria oggettiva, formalmente accolta dal codice del 42, del tutto svincolata dagli scopi delle parti all'esito di un processo di astrazione da essi (per tacere delle teorie anticausalistiche, di derivazione tedesca, con identificazione della causa nell'oggetto o nel contenuto – Inhalt – del contratto, non indicando il codice tedesco la causa tra gli elementi costitutivi del contratto).
La definizione del codice è, in definitiva, quella di funzione economico-sociale del negozio riconosciuta rilevante dall'ordinamento ai fini di giustificare la tutela dell'autonomia privata (così, testualmente, la relazione del ministro guardasigilli); ma è noto che, da parte della più attenta dottrina, e di una assai sporadica e minoritaria giurisprudenza (Cass. Sez. 1^, 7 maggio 1998, n. 4612, in tema di Sale & lease back) Sez. 1^, 6 agosto 1997, n. 7266, in tema di patto di non concorrenza; Sez. 2^, 15 maggio 1996, n. 4503, in tema di rendita vitalizia), si discorre da tempo di una fattispecie causale "concreta", e si elabori una ermeneutica del concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideologica che configura la causa del contratto come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione causale del negozio (che, a tacer d'altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), ricostruendo tale elemento in termini di sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell'orbita della dimensione funzionale dell'atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l'uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale"