La norma di cui all’art. 1 della Costituzione italiana così dispone:
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Viene dunque enunciato, all'art. 1, il principio democratico, che ispira l'intera Costituzione italiana. Questo vuol dire che la sovranità è esercitata dal popolo, nelle forme della democrazia diretta e indiretta.
Viene inoltre enunciato il principio lavorista, che costituisce l'ossatura dell'intera Carta Costituzionale.
Vediamo, di seguito, in cosa consiste il principio democratico che ispira la Costituzione e cosa vuol dire che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Spiegazione dell’art. 1 della Costituzione
La norma di cui all’art. 1 della Costituzione traccia due principi fondamentali, ovvero il principio democratico e il principio lavorista.
Va ricordato che la nostra Costituzione è entrata in vigore il primo gennaio del 1948.
Prima della Costituzione vigeva in Italia lo Statuto Albertino del 1948, che era una Costituzione ottriata ovvero concessa dal sovrano, dunque non votata dal popolo.
La Costituzione della Repubblica italiana è invece una Costituzione votata, poiché il 2 giugno del 1946 si tenne il referendum in occasione del quale il popolo fu chiamato a scegliere tra monarchia e repubblica e a votare l’Assemblea costituente che avrebbe poi avuto il compito di redigere il testo costituzionale.
Il principio democratico
Democrazia è un termine che deriva dal greco e vuol dire potere del popolo.
In democrazia, dunque, il potere è nelle mani del popolo che lo esercita mediante le forme tipiche della democrazia rappresentativa.
Nel nostro Paese, la democrazia si esercita attraverso le elezioni.
In occasione delle elezioni, il popolo è chiamato a votare i propri rappresentanti che poi siederanno in Parlamento.
Si parla, in tal senso, di una forma di democrazia indiretta.
Espressione di democrazia diretta è invece, ad esempio, il referendum abrogativo, in occasione del quale il popolo è chiamato a esprimersi in ordine alla possibilità di abrogare una legge.
Il principio lavorista
Il principio lavorista occupa una posizione centrale nella nostra Costituzione.
Non è un caso che il Costituente abbia deciso di aprire il testo costituzionale con un riferimento espresso al principio lavorista e collegarlo al principio democratico.
Il diritto al lavoro è presente in svariati articoli della Costituzione.
Un esempio è fornito dall’art. 4 Cost., ove il diritto al lavoro è declinato nella sua doppia veste di diritto e dovere.
I primi 12 articoli della Costituzione: i principi fondamentali
L'art. 1 della Costituzione apre il testo normativo con l'enunciazione del principio democratico e del principio lavorista.
Esso è contenuto nella parte iniziale della Costituzione che riguarda i "Principi fondamentali" ovvero i principi che caratterizzano l'ossatura costituzionale, e che non possono essere modificati, nemmeno con una procedura di revisione costituzionale, poiché sono il fondamento su cui poggia lo Stato costituzionale.
Tali principi sono, ad esempio:
- il principio solidarista (art. 2 Cost);
- il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.);
- il principio di autonomia e decentramento (art. 5 Cost.);
- il principio di tutela delle minoranze linguistiche (art. 6 Cost.);
- il principio di laicità dello Stato (artt. 7 e 8 Cost.);
- il principio di tutela della cultura e della ricerca scientifica (art. 9 Cost.).
Va infatti ricordato che la nostra Costituzione è rigida, cioè può essere modificata solo a seguito di una specifica procedura di revisione costituzionale che è "aggravata", in quanto comporta la necessità che vi siano maggioranze consistenti per l'approvazione delle modifiche e implica un iter più articolato.
La nostra Costituzione è rigida anche perché vi è una parte che non può essere modificata, ovvero la parte che riguarda i principi fondamentali della Repubblica.
Principi irrinunciabili, che non possono essere cancellati.
La rigidità costituzionale costituisce, dunque, una fondamentale garanzia per i cittadini, in quanto è volta a preservare l'ordine democratico della Repubblica.
L'art. 1 della Costituzione spiegato ai bambini
L'art. 1 della Costituzione contiene due principi fondamentali: il principio democratico e il principio lavorista.
Cosa vogliono stare a significare questi due principi?
Il principio democratico vuol significare che la sovranità è del popolo.
Questo vuol dire che siamo tutti noi a decidere del nostro futuro liberamente e lo facciamo andando a votare.
Con il voto, eleggiamo le persone in cui crediamo, ovvero i nostri rappresentanti che poi siedono in Parlamento e approvano le leggi.
Le leggi sono le regole che sono alla base della nostra convivenza.
Il principio lavorista, invece, vuol significare che tutti abbiamo il diritto ma anche il dovere di lavorare.
Il lavoro è fondamentale perché l'uomo, lavorando, si realizza, esprime al meglio le sue inclinazioni: in poche parole, anche grazie al lavoro l'uomo è felice.
Casistica giurisprudenziale
Appare utile richiamare alcune pronunce giurisprudenziali in tema di principio democratico e principio lavorista.
Sul principio democratico:
1)Corte Costituzionale, sentenza 21 dicembre 2018, n. 239:
"Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dal Consiglio di Stato in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. – degli artt. 21, primo comma, n. 1-bis) e n. 2), nel testo risultante dalla legge n. 10 del 2009, e 22 della legge n. 18 del 1979, che prevedono la soglia di sbarramento del 4 per cento fissata per l'accesso al riparto proporzionale dei seggi nelle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Tale disposizione non è irragionevole, apparendo funzionale all'obiettivo di razionalizzare l'organizzazione dell'assemblea, esigenza non meno meritevole di quella di stabilità del governo, in considerazione delle funzioni decisorie dell'assemblea e dei rischi connessi a una paralisi della sua attività conseguente all'impossibilità o all'eccessiva difficoltà di formare le necessarie maggioranze, nonché la indubbia trasformazione in senso parlamentare della forma di governo dell'Unione europea.
La scelta del legislatore italiano non eccede dunque i limiti propri della discrezionalità che gli compete nella disciplina della materia elettorale, tanto più tenuto conto dell'alto tasso di politicità che connota questa materia, mentre il risultato di razionalizzare la presenza delle forze politiche nell'assemblea parlamentare europea potrà essere raggiunto appieno solo attraverso l'adozione da parte dei singoli Stati di normative dirette a conseguirlo di cui quella censurata costituisce una condizione necessaria (anche se non sufficiente).
Infine, non sono comunque raffrontabili gli esiti elettorali delle disposizioni che prevedono il riconoscimento di un numero minimo di seggi a Stati aventi minore popolazione e gli esiti di quelle che escludono l'ottenimento di seggi da parte di liste che non hanno raggiunto la soglia in Italia, per la loro evidente incomparabilità: mentre entrambe le previsioni comportano un'incidenza sul principio di rappresentanza proporzionale, quelle che riservano seggi agli Stati più piccoli potenziano la rappresentanza, a favore della popolazione di quei paesi; mentre quelle che introducono una soglia di sbarramento la riducono, escludendo le formazioni politiche che non raggiungono determinate dimensioni. (Precedenti citati: sentenze n. 35 del 2017, n. 193 del 2015, n. 275 del 2014 e n. 1 del 2014)".
2)Corte Costituzionale, sentenza 9 febbraio 2023, n. 15:
"Sono dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Padova, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 3, 4, 32 e 35 Cost., degli artt. 4-bis, comma 1, e 4, commi 1, 4 e 5, del d.l. n. 44 del 2021, come convertito e come modificati dal d.l. n. 172 del 2021, come convertito, e dal d.l. n. 24 del 2022, come convertito, nella parte in cui prevedono per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie l'obbligo vaccinale anti COVID-19, anziché l'obbligo di sottoporsi indifferentemente al test molecolare, al test antigenico da eseguire in laboratorio, oppure al test antigenico rapido di ultima generazione, per la rilevazione di SARS-CoV-2. Le misure approntate dal legislatore – che vanno valutate tenendo conto della situazione determinata da un'emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, risultante soprattutto dalle indicazioni formulate dai competenti organismi internazionali – sono effetto della predisposizione di uno specifico piano strategico nazionale dei vaccini e, dall'aprile del 2021, dell'introduzione dell'obbligo vaccinale censurato.
Contrariamente all'assunto del rimettente, i dati esposti nei rapporti dell'ISS, lungi dall'evidenziare la inutilità dei vaccini, dimostrano come, soprattutto nella fase iniziale della campagna di vaccinazione, la loro efficacia – intesa quale riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati – sia stata altamente significativa tanto nel prevenire l'infezione quanto nell'evitare casi di malattia severa; e come tale efficacia sia aumentata in rapporto al completamento del ciclo vaccinale.
La decisione di introdurre l'obbligo vaccinale in esame (entro limiti soggettivi e temporali) non può reputarsi irragionevole, in quanto è sorretta dalle indicazioni delle competenti Autorità nazionali e sovranazionali alla luce della gravità della situazione che tale vaccinazione era destinata ad affrontare. In base a tali considerazioni, l'imposizione di un obbligo vaccinale selettivo, come condizione di idoneità per l'espletamento di attività che espongono gli operatori ad un potenziale rischio di contagio, e dunque a tutela della salute dei terzi e della collettività, si connota quale misura sufficientemente validata sul piano scientifico. Può quindi affermarsi che le disposizioni censurate hanno operato un contemperamento del diritto alla libertà di cura del singolo con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività.
Né può ritenersi che la previsione, per i lavoratori in oggetto, dell'obbligo di sottoporsi a test diagnostici con una elevata frequenza, anziché al vaccino, costituisca un'alternativa idonea, in quanto sarebbe stata del tutto inidonea a prevenire la malattia (specie grave) degli stessi operatori, con il conseguente rischio di compromettere il funzionamento del servizio sanitario nazionale, considerando anche i costi insostenibili e lo sforzo difficilmente tollerabile, dal momento che la gestione dei tamponi grava interamente sul SSN. La decisione censurata risulta altresì non sproporzionata, in quanto la sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie, destinata a venire meno in caso di adempimento dell'obbligo e, comunque, per la cessazione dello stato di crisi epidemiologica, non ha la natura e gli effetti di una sanzione, non eccede quanto necessario per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stata costantemente modulata in base all'andamento della situazione sanitaria.
Infine, la misura neppure lede il diritto al lavoro.
All'inosservanza dell'obbligo vaccinale, infatti, si attribuisce rilevanza meramente sinallagmatica, cioè solo sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, quale evento determinante la sopravvenuta e temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorative che comportassero il rischio di diffusione del contagio, in sintonia con l'obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 cod. civ. e dall'art. 18 del d.lgs. n. 81 del 2008.
Il diritto fondamentale al lavoro, avuto riguardo al dipendente che abbia scelto di non adempiere all'obbligo vaccinale, nell'esercizio della libertà di autodeterminazione individuale attinente alle decisioni inerenti alle cure sanitarie, tutelata dall'art. 32 Cost., non implica necessariamente il diritto di svolgere l'attività lavorativa ove la stessa costituisca fattore di rischio per la tutela della salute pubblica e per il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. (Precedenti: S. 14/2023 – 45312; S. 171/2022 – mass. 44917; S. 127/2022 – mass. 44864; S. 125/2022 – mass. 44898; S. 59/2021 – mass. 43754; S. 37/2021; S. 194/2018 – 40529; S. 137/2019 – mass. 41748; S. 268/2017 – mass. 40636)".