La Corte Costituzionale, con sentenza del 18 gennaio 2024, n. 5 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, del Codice civile "nella parte in cui, per l’adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l’intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando".
La questione all'esame dei giudici riguarda una donna che aveva di fatto cresciuto il figlio di suo marito come fosse stato suo figlio biologico e chiedeva di poter adottare il ragazzo, anche se vi erano soltanto 17 anni e 3 mesi di differenza tra loro e non diciotto, come richiesto dal Codice civile.
La Corte costituzionale ha infatti chiarito che: "l’adozione di persone maggiori di età non persegue più, e soltanto, per come vive attualmente nell’ordinamento, la funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio, con conseguenze destinate a riverberarsi sul mero piano di disciplina relativa agli alimenti e alle successioni, ma è divenuto uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici, accanto a quelli patrimoniali.
L’istituto – suggellando sovente l’effettiva e definitiva coincidenza tra situazione di fatto e status – formalizza legami affettivo-solidaristici che, consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo.
Il perimetro di riferimento è innanzitutto segnato dal fenomeno delle così dette famiglie ricomposte – in cui alle preesistenti relazioni di parentela si aggiungono nuovi legami, che trovano fondamento e consistenza in quella misura di affetti e solidarietà che è propria della comunità familiare – per poi spingersi ad assecondare altre istanze, in cui l’esigenza solidaristica resta variamente declinata".
Vediamo, in dettaglio, cosa stabilito la Corte costituzionale.
I fatti di causa
Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima civile, sollevava, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, primo comma (in relazione agli artt. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948), e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, del codice civile, "nella parte in cui non consente al giudice di dichiarare l’adozione di maggiorenne derogando al limite del divario di età tra adottante ed adottando imposto in 18 anni nei casi di esigua differenza di età".
Una donna, nata nel 1946, aveva chiesto al Tribunale di Firenze di procedere alla dichiarazione di adozione di un ragazzo maggiorenne, in quanto questi, nato nel 1963, orfano di madre e il cui padre, aveva contratto matrimonio con l’istante nel 1968, era sempre vissuto con il padre e, dall’età di 5 anni, anche con la stessa richiedente, che lo aveva accudito e cresciuto come un figlio senza differenza alcuna rispetto alla figlia biologica, nata dal matrimonio con il padre.
La differenza di età rispetto al figlio del coniuge è pari a 17 anni e 3 mesi, di conseguenza non risulta sussistente il requisito del divario minimo di età di 18 anni, imposto dall’art. 291, primo comma, cod. civ.: l’istante ha però evidenziato che il legame affettivo che esiste tra lei e il ragazzo merita tutela in omaggio ai principi costituzionali, tra cui quello dell’unità familiare (art. 30 Cost.) e del rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU).
La sentenza della Corte costituzionale
La Corte costituzionale ha effettuato una interessante analisi sulla disciplina predisposta dal legislatore in tema di adozione.
La Corte ha ricordato che "Fino ai primi anni del ‘900 l’adozione ha conservato, mutuandola dal diritto romano, la natura di strumento della tradizione aristocratica e dell’alta borghesia, utilizzato da coloro che non avessero discendenti ai quali trasmettere il proprio cognome e il proprio patrimonio, ed avessero raggiunto un’età in cui presumibilmente non avrebbero potuto più averne, e si è fondata sul consenso scambiato tra persone adulte.
Fu solo attraverso la legislazione speciale (in particolare, il regio decreto-legge 31 luglio 1919, n. 1357, recante «Norme per l’adozione degli orfani di guerra e dei nati fuori di matrimonio nel periodo della guerra», convertito, con modificazioni, nella legge 6 dicembre 1925, n. 2137), con norme di favore intervenute in aiuto dei minori rimasti senza famiglia e senza soccorso, in seguito ai grandi rivolgimenti causati dal primo conflitto mondiale, che si cominciò a prendere in considerazione la esigenza di allevare ed educare il figlio adottivo in seno alla nuova famiglia, esigenza corrispondente, oltre che a finalità filantropico-assistenziali, all’intento di supplire e meglio imitare la natura".
Con la promulgazione del codice civile del 1942 venne introdotta la possibilità di adottare minori: si trattava di un contratto tra il genitore del bambino e l’adottante, che non doveva necessariamente essere sposato: "l’obiettivo continuava ad essere essenzialmente quello di garantire la successione a chi non avesse discendenti", ha chiarito la Corte.
Il divario minimo tra l’adottante e adottato di 18 anni era derogabile in caso di "eccezionali circostanze […] la Corte d’appello può autorizzare la adozione se l’adottante ha raggiunto almeno l’età di anni quaranta e se la differenza di età tra l’adottante e l’adottando è di almeno sedici anni".
Ha infatti precisato la Consulta che: "Si era dinanzi ad una previsione che, non contenuta nel Progetto ed inserita nel testo definitivo, venne motivata nella relazione del Guardasigilli con riferimento sia alla facoltà riconosciuta alla Corte d’appello di «valutare le circostanze del caso» (sentenza n. 44 del 1990, punto 3 del Considerato in diritto), sia alla circostanza che «la differenza minima di sedici anni» valeva pur sempre a salvare il tradizionale principio dell’adoptio imitatur naturam".
Con la legge 5 giugno 1967, n. 431 fu introdotto, nel codice civile, l’istituto dell’adozione speciale con efficacia legittimante.
Si trattava di una normativa che "spostava in modo definitivo la disciplina dell’adozione sugli interessi dell’adottando e, attribuendo centralità alla figura del minore, giungeva ad equipararne la regolamentazione alla filiazione naturale".
L’adozione ordinaria era un istituto che continuava a essere applicato ai maggiorenni e ai minorenni a partire dagli otto anni, "con il mantenimento della differenza minima d’età tra adottante ed adottando in diciotto anni e con la fissazione dell’età minima per adottare a trentacinque anni, limite riducibile, in casi eccezionali, a trenta anni".
Con la legge n. 184 del 1983, "la disciplina dell’adozione dei soggetti minori di età venne interamente trasferita al di fuori del codice civile".
Con tale normativa, infatti, "l’adozione del minore, quale nuova figura generale, diviene funzionale alla creazione di una famiglia per il fanciullo che ne sia privo. L’adozione determina la cessazione dei rapporti dell’adottato con la famiglia d’origine e l’acquisizione, in capo a lui, del nuovo status di figlio degli adottanti, i quali debbono essere tra loro coniugati da almeno tre anni, fermo il rispetto del divario di età con l’adottando di almeno diciotto anni e di non oltre quaranta. Si realizza così un duplice effetto sullo status dell’adottato, costitutivo ed estintivo, che «si collega al presupposto stesso dell’adozione: la dichiarazione di adottabilità fondata sullo stato di abbandono […] (art. 8, comma 1, della legge n. 184 del 1983)» (sentenza n. 183 del 2023, punto 8.1. del Considerato in diritto)".
Quanto ai limiti di età, essi "sono stati incisi da ripetuti interventi di questa Corte (sentenze n. 283 del 1999, n. 349 del 1998, n. 303 del 1996 e n. 148 del 1992), che ne hanno in vario modo temperato la rigidità, al fine di scongiurare che dalla mancata adozione potesse derivare un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore, fermo restando che la differenza di età dovesse restare compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli".
Il divario massimo di età è poi stato innalzato a 45 anni dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, che ha previsto la derogabilità dei limiti di età, "qualora il tribunale per i minorenni accerti appunto che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore".
All'art. 44 della legge n. 184 del 1983 sono regolamentati “casi particolari” di adozione di minori, "che non versino in stato di abbandono e che non siano stati previamente dichiarati in stato di adottabilità".
Ha chiarito la Corte, "In tutti questi casi è stabilito che l’adottante superi di almeno diciotto anni l’età di colui che intenda adottare. Quest’ultima previsione, relativamente al caso dell’adozione pronunciata rispetto a minore che sia già figlio, anche adottivo, del coniuge dell’adottante (art. 44, comma 1, lettera b), è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza di questa Corte n. 44 del 1990, nella parte in cui non consentiva al giudice competente di ridurre, quando sussistano validi motivi per la realizzazione dell’unità familiare, l’intervallo di età di diciotto anni".
Il legislatore ha dunque attuato una riforma con la legge n. 149 del 2001.
L’adozione dei maggiorenni resta invece regolata dal codice civile e, riservata al rapporto tra gli adulti non crea una relazione di parentela con i discendenti dell’adottante ed è revocabile.
Di recente, ha sottolineato la Corte, i giudici di legittimità (Cassazione, sentenza n. 7667 del 2020), "nel dare riconoscimento ai legami familiari di fatto stabili nel tempo, hanno individuato nell’adozione del maggiorenne una espressione del diritto all’identità della persona (art. 2 Cost.)".
In questi termini, la questione sollevata, per la Consulta, relativa alla violazione dell’art. 2 Cost. è fondata, poiché "l’adozione di persone maggiori di età non persegue più, e soltanto, per come vive attualmente nell’ordinamento, la funzione tradizionale di trasmissione del cognome e del patrimonio, con conseguenze destinate a riverberarsi sul mero piano di disciplina relativa agli alimenti e alle successioni, ma è divenuto uno strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della società, in cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici, accanto a quelli patrimoniali.
L’istituto – suggellando sovente l’effettiva e definitiva coincidenza tra situazione di fatto e status – formalizza legami affettivo-solidaristici che, consolidatisi nel tempo e preesistenti al riconoscimento giuridico, sono rappresentativi dell’identità dell’individuo.
Il perimetro di riferimento è innanzitutto segnato dal fenomeno delle così dette famiglie ricomposte – in cui alle preesistenti relazioni di parentela si aggiungono nuovi legami, che trovano fondamento e consistenza in quella misura di affetti e solidarietà che è propria della comunità familiare – per poi spingersi ad assecondare altre istanze, in cui l’esigenza solidaristica resta variamente declinata".
Per questi motivi, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 291, primo comma, del codice civile nella parte in cui, per l’adozione del maggiorenne, non consente al giudice di ridurre, nei casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi meritevoli, l’intervallo di età di diciotto anni fra adottante e adottando.